Tradizione ebraico-cristiana che muove, quando ancora la prima guerra mondiale imperversava e faceva vittime in tante parti del mondo, un gruppo di uomini affermati nel campo professionale e della vita economica e sociale del loro paese, ma motivati da alto senso di religiosità morale, a far nascere ciò che al momento apparve come un sogno, uno dei tanti, destinato a svanire all’alba del giorno dopo. Gli ingredienti erano semplici, accettabili, giusti, apprezzabili: chi ha avuto qualcosa dalla vita ha il dovere di dare, per la parte che può e senza alcuna imposizione, a chi soffre, al povero, al negletto, al diseredato, all’ammalato, al povero cristo, solo, che attende la morte come liberazione.  Inizia così una crociata di solidarietà che non ha ancora avuto simili con la presenza oggi in 205 paesi, più di 45.000 Clubs, un milione e mezzo di uomini, donne, ragazzi che vanno nelle loro comunità e non aspettano richieste, ma cercano di capire i bisogni veri esistenti ed operano senza alcun indugio aiutando senza mai pretendere alcunché ma solo per la gioia di donare: “ho quel che ho donato” avrebbe ancora una volta commentato il vate di Pescara, D’Annunzio. Una associazione dove non esiste alcun tipo di selezione legata al sesso, alla razza, alle idee politiche, al credo religioso; che esige, da chi accetta l’invito, che sia persona moralmente ineccepibile e che abbia già testimoniato bontà, solidarietà, comprensione del bisogno, voglia di uscire dal proprio edonismo e andare al largo nel grande, ahimé troppo grande, mare dei bisogni umanitari.  L’associazione non è prodiga di riconoscimenti. Nessuno ha mai accettato di essere cooptato (è il metodo di affiliazione) per raggiungere uno scopo, se non quello di sentirsi a posto con la propria coscienza morale. Ed i reprobi sono sempre stati invitati ad andar via. Accade che di ciascuno, sia pure in uno stesso club, non si conosca in chi creda, come voti, come nasca, cosa faccia. Ma non accade di non sapere se è “vocato” al servizio, se non sente impellente e strutturata la voglia di essere utile agli altri. Ecco l’amalgama che lega trasversalmente milioni di persone e che li fa gioire quando si ritrovano nelle convention internazionali, nei loro congressi di distretto o di nazione e nei forum continentali: occasioni tutte nelle quali ciò che prevale è lo spirito gioioso di comunicare agli altri le proprie buone esperienze per indurre emulazione che possa e sempre di più migliorare lo stato dei servizi da offrire.  Il centenario è vicino (2017). Ma nulla è cambiato nei sentimenti che albergarono nelle prime venti persone che il fondatore Melvin Jones, un uomo d’affari allora a Chicago, aveva riunito per fondare l’Associazione Internazionale dei Lions Clubs.  Dapprima solo negli Usa, poi nel 1920 in Canada e nel ’26 in Cina per approdare in Europa alla fine della seconda guerra mondiale nel 1948 ed in Italia nel 1951, con il Lions Club di Milano, primo di una schiera che oggi ne conta più di 1300! Chi ha beneficiato dell’azione umanitaria dell’associazione è sempre stata la parte più negletta delle società: quella verso la quale governi e stati hanno difficoltà varie.  Azione vera dunque di sussidiarietà senza spocchie ma umile e concreta. Milioni di non vedenti riportati alla gioia della vista con i vari programmi, tra i quali eccelle il Sight First, che con un impegno di circa 350 milioni di dollari ha ridato la vista a più 40 milioni di persone soprattutto nei paesi in via di sviluppo; campagne di pieno successo per eradicare malattie come la cecità del fiume, altre per offrire ai giovani un mezzo per combattere l’impulso a deviare od usare sostanze droganti (Lions Quest); vaccinazioni in massa nelle zone dell’Africa, lotta al diabete, ausili costanti a quanti affetti da handicap, sostegno agli anziani, alle persone sole. E poi l’azione di promozione per la pace in tutti i paesi, anticipando o aiutando i vari governi ad evitare (difficile!) stupide guerre e vittime innocenti; la presenza nel 1945 alla fondazione delle Nazioni Unite a San Francisco e la partecipazione, come componenti di una ONG, al Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC) per dimostrare come quella organizzazione non è fatta solo da politici ma anche da uomini di buona volontà. Ed i tanti servizi per debellare la fame nel mondo che è divenuto l’impegno assoluto per un’associazione che non può accettare che 36 bambini muoiano ogni minuto per starvazione da fame mentre una opulente società si trastulla nei vari teatrini del benessere eccessivo.  La nostra cura per promuovere la dignità dell’uomo, creando possibilità di sopravvivenza, acculturazione, ricerca di un lavoro per far sì che possa avvenire ed ovunque la “trasformazione da persona in cittadino” consapevole e libero di autodeterminarsi senza dovere dipendere da alcuno. E la carta della cittadinanza umanitaria: “carta di credito” per affermare i valori indispensabili dell’umanità.  Lions Clubs International vive, cresce, fiorisce grazie ai suoi soci sparsi nel mondo e grazie al credito indiscusso acquisito durante tutte le tragedie naturali, ultime Haiti, L’Aquila, la Sicilia, la Cina e il Cile. Sempre presente per soccorrere, salvare vite, aiutare la ricostruzione di case, scuole, chiese, ospedali. Centinaia di milioni di esseri umani hanno conosciuto Lions Clubs International e gli vogliono bene perché, come ebbe a dire Madre Teresa di Calcutta, “si rivolge a chi ha perduto la speranza e gliela re-infonde con la testimonianza e l’affetto”.  Lottiamo e lavoriamo per una società in cui non vi siano più poveri, derelitti, perseguitati, segregati; una società nella quale ciascuno possa realizzare il proprio sogno: creatura umana venuta, come diceva Marco l’Evangelista, “per servire e non per essere servito” e creare così un assetto sociale nel quale prevalga la comprensione, la pace tra i popoli, l’amore per i diseredati, senza alcuna differenza di qualsivoglia tipo, in armonia di “solidarietà umanitaria”. E la storia continua. Non può avere fine!   Testo di Pino Grimaldi Presidente Internazionale Emerito